martedì 24 agosto 2010

Una gita a Cori

A volte le difficoltà possono riservarci piacevoli sorprese.
Metti quindi il 23 agosto sulla Roma – Napoli, cercando di andare verso Terracina, e metti che ti ritrovi in una di quelle nuvole di traffico da fine estate o inizio controesodo, come dicono in tv.
Decidi allora di tagliare campi campi e passare per Cori, dove sai che c’è un ragazzo un po’ visionario che produce vino - e non solo – biologico e di altissimo livello.
Marco Carpineti lo trovi vicino Cori, tra Velletri e Anzio, in una campagna verde anche d’estate, con una cantina che si affaccia sulle valli circostanti e ti fa spingere l’occhio fino al mare.
L’azienda è biologica dal 1994, vale a dire da un anno in cui la parola biologico e la moda alimentare collegata non erano ancora in essere. Una scommessa, una idea, una passione.


Marco in abito da lavoro... versione estiva!

Cori è una terra nobile, più antica di Roma; terra vulcanica e tufacea, che regala vitigni gagliardi e interessanti, basti pensare al Nero Buono di Cori, un nome che è tutto un programma, no?
Insomma, in questo pomeriggio agostano incontro Marco e vengo contagiato dalla sua passione: conoscevo alcuni dei suoi prodotti (in particolare il Ludum, un passito IGT – presentatomi da Arcangelo Dandini - affinato in barriques 12 mesi che è una vera poesia…) ma ne scopro nuovi e, soprattutto, grazie alla sua gentilezza, vedo la bottaia scavata nella roccia, dove finisco, sotto lo sguardo compiaciuto di Marco, ad accarezzare una botte con fare sdolcinato…


lo scavo nella roccia...


Marco non nasce contadino, ma lo diventa riscoprendo le antiche tradizioni di famiglia e rilanciando l’azienda.
Mi faccio consigliare da lui nelle scelte. Innanzi tutto l’Os Rosae, un clamoroso rosato di Nero Buono di Cori le cui prime due bottiglie non hanno superato la serata, avendo innaffiato una cena di Benedetto Cavaliere alla vongole e tartare di tonno.
Poi il Capolemole, bianco (50% Bellone, 30% Malvasia e 20% Trebbiano) e rosso (45% Nero Buono di Cori, 45% Montepulciano e 10% Cesanese), saltando purtroppo i due Cannoni di Navarone della cantina, ovvero il Moro ed il Dithyrambus, un bianco e un rosso di punta purtroppo già esauriti…

Ecco, questo è importante: Marco Carpineti produce e vende le giuste quantità di prodotto, cercando la qualità e la difesa del prodotto. E basta fare un giro sul suo ben costruito sito web per rendersene conto: anzi, lo consiglio, anche per apprezzare l'intera produzione (c'è anche una grappa, nonché l'olio) che qui non posso certo illustrare.
Forse può sembrare pubblicità tutto ciò, e forse lo è. Ma la premessa è, sempre, che piace scrivere di ciò che piace, e quindi…

lunedì 26 luglio 2010

Metti una sera a cena...

Che gran film che era, eh? E la colonna sonora di Morricone?
Comunque qui si parla d'altro, di un sabato romano d'estate incipiente che il sottoscritto decide di votare alla gita culinaria dentro il raccordo con meta DOL, di origine laziale, la bottega di Vincenzo e non solo...




E in quel posto affascinante (cui cambierei solo il nome in DOR, di origine romanista...) metti che incontri il fantastico duo del Pomarius che ha avuto la stessa idea del sottoscritto.





Insomma scatta la chiacchera, quella piacevole, da amici al bar dello sport, dove con una biretta offerta da Vincenzo (ma senza calippo..!) si può almanaccare di salumi, formaggi da salvare, commercio e conserve, e birre artigianali che non lo sono più...




Poi, tra una signora di quartiere e l'altra, si sceglie per la cena e ci si porta via del conciato di san vittore (il figlio prediletto di DOL), del fiocco della Tuscia (che io reputo commovente e degno di superare in curva molti francesini a pasta molle!), e poi lonzino, prosciutto affumicato, marzolino e salsicciotti di prosciutto.

Il cuore di bue!



Ecco il mio tagliere....











Una cena tranquilla, a casa, con un bel pomodoro cuore di bue condito, e il ricco tagliere di cui sopra.
Tutto facile, tutto bello... Grazie!

P.S. prenotate sabato e ritirate oggi da Pomarius le ultime albicocche... 4 chili di vesuviane per fare la marmellata!

mercoledì 21 luglio 2010

El dia de la bestia!

Ad essere corretti, il titolo poco ci azzecca con la serata di ieri... El dia de la bestia è uno strampalato film spagnolo di oltre 10 anni fa che risulta a dir poco incomprensibile.

Molto più compresibile è stata la cena di ieri sera all'Incannucciata, ovvero Bonci e De Belli cucinano la Bestia!

Il "promo" annunciava: Prendi una bestia enorme, macellala, falla frollare a dovere . Aggiungi due pazzi che la cucinano in tutti i modi possibili e ne uscira fuori una serata speciale..... menu a sorpresa, vino a sorpresa

Confesso che sono giunto a casa De Bellis aspettandomi di trovare i due paladini lottare con la durlindana contro un mostro sanguinolento! Invece è stato tutto a sorpresa, in primis il menù ispirato alla carne della bestia ma, soprattutto, a mio vedere, ad una delicatezza insospettata.

Forse anche per il caldo estivo (ma io ero nella fresca veranda sotto gli ulivi), abbiamo iniziato con una triade di antipasti vaccini di tutto rispetto: il supplì con pancia di vacca, il battuto di coscia di vacca con zucchine e menta e l'insalata di rinforzo estiva.








Applauso, e mi sbilancio, per l'insalata di rinforzo, che aveva in sè la effettiva freschezza dell'estate, nonostante la vacca inserita tra erbette e fagiolini.

Andiamo ai primi quindi.
A dei delicati cannoncini di stracotto di spalla hanno fatto seguito i paccheri... come se fossero un saltimbocca e un risotto ai due fondi che, pur senza alcuna altra spiegazione, e pur non essendo un piatto da luglio pieno, è stato veramente notevole.








Per il secondo, il dinamico duo ha optato per una tagliata di collo in crosta di spezie, giusto connubio per non far perdere il sapore alla carne, protagonista del piatto.



Crostata di maialino a 4 poppate, chiudeva come dolce: vetta altissima di porcellino arrosto servito con confit in un agrodolce di effetto. Certo che si aspettava la classico crostata di visciole è rimasto un pò spiazzato, ma ci sta, no?



Conclusione con i grastrofanatici presenti - registrato il tutto esaurito - ad omaggiare i due titani del fornelli, stracchi sulle sedie in veranda...!

giovedì 15 luglio 2010

Tradizione o Innovazione: in medio stat virtus... e anche Bottura!

Che Massimo Bottura sia un personaggio carismatico e tracimante lo si sa; come è noto il fatto che sia stato eletto come sesto miglior chef del mondo, e che recentemente sia stato messo in mezzo con polemiche più o meno strampalate sulla tipologia di cucina che realizza.
Sta di fatto che poterlo incontrare e cenare con lui al Gambero Rosso – uno dei vernissage del teatro della cucina – è stato veramente emozionante, intendendo con tale termine la materializzazione di emozioni, nelle parole e nei piatti che ci son stati proposti.
Premessa doverosa: lo Chef è un grande affabulatore, e per me la domanda principale che bisogna porsi è se i suoi piatti sarebbero lo stesso stupefacenti senza la sua spiegazione, senza il suo entusiasmo nel mostrarti che quello che hai davanti altro non è che una storia, un’idea, un pensiero, anche quando si tratta di una (semplice) pasta e fagioli.



Ciò chiaramente comporta che, vista anche la complessità delle sue realizzazioni, non lo vedi al banco spignattare avvolto in vapori e odori, ma saltellare, spiegare, illustrare con gesti e parole, quasi un Benigni del food che ti spiega come nasce, ad esempio, l’anguilla che voleva diventare anguilla in salmì (piatto non in menù, ma illustrato come esempio della genesi creativa).
Abbiamo iniziato con un tris di antipasti, nell’ordine Ricordo di un panino alla mortadella, Tortino di scalogni di Romagna, sale di Cervia e tartufi dei colli bolognesi e il Tosone in carrozza.


Gli antipasti


Io personalmente sono rimasto sconvolto dalla spuma di mortadella: la si mangia a Bologna e in zona, ma è grassa, pannosa. Bottura la fa aerea, ottenendo i liquidi dalla mortadella stessa – prodotta a Correggio – e poi spumando il tutto, rendendo REALMENTE l’idea del titolo del piatto, ovvero del ricordo di un panino con la mortadella.
Il tosone in carrozza colpisce invece per la strana pastosità del formaggio fritto: spiega Bottura – e anche qui è necessario – come la natura stessa di questo parmigiano di un giorno porti ad avere questa tipica “filosità” (si può dire?) in frittura.


la spiegazione della pasta e fagioli


Alla ricerca del confronto tra tradizione e innovazione – cavallo di battaglia di Bottura – ci si imbatte poi nel duetto pasta e fagioli con compressione di pasta e fagioli. La prima non ha bisogno di spiegazione da parte dello chef; la seconda si, trattandosi di una verticalizzazione del piatto (in bicchierino) dove, oltre all’aggiunta di un fondo di fois gras, la rivoluzione è data dalla sostituzione della pasta con filamenti maltagliati di parmigiano. Si, c’è anche un’idea di rosmarino e pancetta, e ovviamente i fagioli, ma la consistenza del parmigiano “che pensa di fare la pasta” è la nota, a mio avviso, veramente geniale.


Tradizione o innovazione? Pasta e fagioli e compressione di pasta e fagioli


Arriviamo però a quello che, in assoluto, è stato il mio piatto preferito (e non sono il solo a pensarla così…), ovvero Come mangiare il cotechino a luglio. A vederlo è un raviolone, ma è il ripieno – assurdo – che colpisce.


Come mangiare il cotechino a luglio


L’idea illustrata da Bottura si fonda sulla volontà di sdoganare un cibo classico dell’Emilia Romagna e non solo – il cotechino – e renderlo appetibile anche fuori dal canonico periodo invernale. Come fare? Semplice (per lui): si cuoce il cotechino nel lambrusco, recuperando con l’abbattitore i succhi non grassi di cottura (il succo del cotechino lambruscato!) e si realizza la farcia del raviolone unendolo a “tre tipi tre” di lenticchie (decorticata, Castelluccio e Colfiorito) che rendono diverse consistenze.


primo piano del ripieno...


Morale: va mangiato in un boccone per essere vittima dei sapori che letteralmente esplodono dal di dentro, sparandoci nel cervello l’idea … di Capodanno, direi! Incredibile e pienamente apprezzato grazie alla spiegazione che, ripeto, aiuta a seguire il percorso che ha portato a realizzare un piatto veramente non convenzionale pur nell’utilizzo di materie prime classiche (e di assoluto pregio il richiamo fatto ai dumpling orientali asserendo, pacifico, che come cuociono il maiale i cinesi non lo fa nessuno).


la genesi della lingua...


Storditi dal raviolone, il buon Massimo ci trascina nel concettuale e, complice un bel video, e una dichiarata ispirazione al concetto spaziale di Fontana, ci sottopone Tutte le lingue del mondo, piatto omaggio al quinto quarto e, in fondo, mi piace credere, anche alla romanità di questi tipi di tagli di carne.
La lingua a forma di parallelepipedo è cotta con polvere carbone a bassa temperatura: non perde colore, non assume altri colori, mantiene la morbidezza del taglio e la sua natura.


Tutte le lingue del mondo


Il mondo accompagna la lingua con salve di diversa estrazione, dalla mostarda di mele al frutto della passione…. Ogni boccone, ogni giro della ruota porta profumi e sapori diversi e contrastanti, mai spiacevoli eppure, a volte, spiazzanti. Diciamo il bello della diversità, accumunati dalla lingua (del manzo, ovvio…).
Si arriva al pre-dolce con Nord-Sud, Est-Ovest: aceto di passito elaborato con frutta e pistacchi e nocciole e altro… . Ammetto, a costo di sembrare Alberto Sordi nelle Vacanze intelligenti: troppo estremo per me, troppo forte forse il contrasto dei sapori che, comunque, affascinano.


Nord-Sud, Est-Ovest


La chiusura è per La speranza: patata in attesa di diventare tartufo.



Dolce di patata? Si, e riemerge il racconto di Bottura, che ci affabula come il percorso della patata e del tartufo ha una ideale conclusione invernale alla fiera ad Alba, laddove l’umile patata, che rimane sempre tale, si fonderà col bianco tubero.
Crosta di patata con sale e zucchero che danno la solidità, patata con uovo per la farcia, tartufo a scaglie e crema alla vaniglia: esagerata, tanta, buona, spiazzante! Uno scontro fra tuberi ricchi e poveri, senza alcun vincitore!




Che dire: l’incontro con Massimo Bottura è di quelli che lasciano il segno. Una persona intelligente, curiosa, che non si astiene dal porsi domande certo al contempo delle proprie convinzioni e delle proprie idee da difendere e portare avanti.


la storia della patata....


Mi piace notare che l’aspetto culturale dello Chef è tracimante: si spazia, come si sa, da Lucio Fontana a Monk (con piatto dell’anno dedicato all’immenso jazzista, non da me provato, aimè!), ma anche dalla famiglia con le sue tradizioni alle innovazioni della cucina più spinta e concettuale. Una miscellanea che sicuramente acchiappa e affascina soprattutto se si ammira, anche nei cucinieri, la capacità di proporre idee nuove e mettersi in discussione. Come ha eloquentemente fatto capire il Bottura ieri sera opponendo, a chi vedeva in lui una matrice francesizzante (oh, è stato allievo di Ducasse in fondo!), la semplice lettura del menù e dei prodotti “italiani che più non si può” in esso indicati.
Chiusura: bisogna passare da Modena assai presto….


la dedica sul menù...

giovedì 24 giugno 2010

Dino e la Dama Bianca

Nella periferia di Roma nord c'è un piccolo casale osteria, gestito da DDB (Dino De Bellis), uomo che ama DDR (Daniele De Rossi) e i suoi colori giallorossi così come cucinare.
Ma se dal calcio si passa al ciclismo, anche Dino come il grande Fausto ha ieri incontrato la sua Dama Bianca: uno strano incontro, non certo una intimità, anzi...
Monsieur Dino e Madame La Blanche è stata una bella cena all'Osteria l'Incannucciata (di DDB) in cui la cucina ha cercato abbinamenti con la birra Blanche, belga e non solo.

Quindi con la sapiente illustrazione di Paolo Mazzola, esperto di birre a tutto tondo, abbiamo iniziato con una Blanche de Namur per poi cominciare la degustazione abbinata.


Dino e Paolo


Ai dei piccoli panzerotti di bufala e pomodorini, su latte di burrata e capesante - abbinati alla Friska della Barley - son seguite le moules frites rivisitate da Dino - con patate viola e cozze in carta fata - con un fulgido abbinamento con la Isaac di Balladin.



moules frites


Abbiamo quindi proseguito con un bel risotto con porro bruciato, vongole, arancia ed erbe (la lavanda...) accompagnato dalla Troublette della Caracole. Abbinamento difficile ma superato con scioltezza.



riso e vongole...


Ma dove tutti noi presenti abbiamo veramente apprezzato l'abbinamento con la birra è stato il duetto baccalà laccato con zenzero e gazpacho profumato vs Blanche de Honnelles Abbaye de Rocs. Una birra piena e possente che ha accompagnato perfettamente il sapore e il profumo del baccalà di Dino.



baccalà!


Chiusura con un sorprendente strudel alle arance e rabarbaro arditamente legato alla birra Ambrosia di Toccalmatto. Difficile abbinare i dolci con la birra, ma esperimento riuscito direi.



lo strudel


Morale: gran cucina, rischi nell'abbinamento con la birra superati a pieni voti, serata, compagnia e ospitalità piacevolissime!
Non resta che attendere la prossima....

venerdì 18 giugno 2010

La cotoletta dell'Osteria Bottega

Sono sempre stato convinto che una grande verità sia che ognuno ha le proprie madeleine di Proust: quei piccoli sapori che ci portiamo dietro dall’infanzia per tutta la vita e che quando ritroviamo ci rendono inspiegabilmente felici e rassicurati.

Qualche anno fa uscì un piacevole libretto di Philippe Delerm, La première gorgée de bière (la prima sorsata di birra, da noi), che provava a spiegare i piccoli piaceri della vita. Le nostre madeleine fanno parte di quel mondo, e ritrovarle è come incontrare un vecchio amico.

Mi appoggio a questa dotta premessa per dire che giorni fa, leggendo un bel breve memoriale del direttor Bonilli su Bologna e sulla Cotoletta Petroniana , mi è venuta voglia di riuscire a visitare un piccolo locale bolognese dove, per vari motivi, non ero mai riuscito a mangiare, anche con le mie assidue frequentazioni felsinee.




Aggiungo, è per me doveroso, che proprio tali visite a Bologna mi hanno fatto spesso concordare con Enzo Vizzari quando disse che a Bologna si mangia meglio a casa che fuori; troppi ristoranti “finto antico”, dove la tradizione è veramente turistica (e un romano, scusate, il ristorante turistico lo conosce bene, lo identifica a naso).




E poi, sedendomi a cena, penso sempre all’Artusi che stilizzava il pasto bolognese come una sequenza “antipasti + primo (tagliatelle o tortellini) + dolce” vista la poca avvenenza dei secondi.
Comunque, il 15 scorso son riuscito a prenotare da Daniele Minarelli all’Osteria Bottega, un minuscolo locale in Via di Santa Caterina, vicino a porta Saragozza, con pochi tavoli e un bel duo rosso fuoco “affettatrice + bilancia” sul bancone.

Minarelli è una persona simpatica e ci sa fare: direi che è oste vero e antico, ruffiano quanto serve per invogliarti a mangiare ma mai invadente o esagerato. Io dico subito che son lì per la cotoletta petroniana: lui capisce, e pianifica il resto, e io non mi oppongo.


La gratta e la "forma"...


Inizio con una salsiccia cruda fatta in casa al pepe e spezie: dentro c’è un po’ di tutto, come carne, pezzi vari, una leggera affumicatura, si scioglie in bocca. L’accompagno con un piatto di lardo, pere e parmigiano: composizione perfetta con parmigiano strepitoso.


La salsiccia cruda....



Lardo, pere e parmigiano


Passo al primo: assaggio un tortellone alla ricotta con burro e salvia e mi butto sulle tagliatelle al culatello. Il piatto è per gastrofanatici del salume in questione: forse saporito alla fine, ma perfetto nella sua struttura.


I tortelli alla ricotta



Le tagliatelle al culatello


Si arriva alla cotoletta, accompagnata da patate commoventi nella loro cottura (e che qualità di patata!). La descrizione della cotoletta la lascio alle foto, purtroppo non di qualità eccelsa, ed al citato articolo di Bonilli.


La cotoletta petroniana


Io posso solo limitarmi a dire che è stata la migliore cotoletta bolognese da me provata – e ne ho provate un po’ – e che è un piatto che anche per coloro i quali non rappresenta, anche solo per i natali, una madeleine, è sicuramente una sintesi perfetta della cucina bolognese vera.


Le patate...



Alla fine, senza fondo, mi son concesso la zuppa inglese e un assaggio di torta di riso… con caffè del Lelli a chiusura.



La zuppa inglese



L'assaggio di torta di riso


Vino, per mia scelta, al bicchiere – si punta molto sulla zona emiliana romagnola – e conto amichevole, considerando d’aver svuotato la cucina…
Esperienza da ripetere, quindi, da consigliare e credo da gustare al meglio nelle fredde serate invernali: giugno non permette mangiate impegnative, anche se, ed è qui forse il piccolo vero miracolo finale della Bottega, non sono stato assaltato dalla pesantezza digestiva (non ostante il giro a 360° del menù…)!

giovedì 17 giugno 2010

Quando tira lo Scirocco, arriva il gelato...

E' da circa due anni che, notoriamente, sono a lutto per quanto riguarda il gelato, ovvero dalla chiusura di Pellacchia / Pignotti, storica ed insuperata gelateria della Capitale.
Da quella chiusura ho provato, lo confesso, tronfio del mio essere spaccaballe, varie cose fredde, ma solo raramente ho trovato i sapori che amavo: la cremosità delle creme, la freschezza della frutta, la genuinità dei sapori.
Si, dirà qualcuno, ma a Roma tu hai Torcè, il Settimo Gelo, Cristalli di Zucchero, VIce a Gregorio VII e Manassei ai Gracchi! Lo ammetto, allora, qualche gusto mi ha convinto dei signori citati, ma son sempre rimasto insoddisfatto da qualcosa, forse anche dal solo ricordo del gelato che amavo.
Tanto detto, un pò da vecchio rimbambito, qui dico che ho scoperto, molto fuori zona, una perla. Una piccola gelateria nell'estrema periferia di Bologna, dal meridionale nome di Cremeria Scirocco, tanto nascosta quanto interessante.


L'interno della Cremeria Scirocco



Si, è lontana anche per i bolognesi, ubicata com'è sotto un quasi portico in Via Barelli, in zona Roveri, una zona industriale verso San Lazzaro: ma merita il viaggio se amate il gelato.
Il titolare, Andrea Bandiera, è un simpatico mattacchione che ha lasciato da circa 6 anni il suo lavoro da informatico per dedicarsi al gelato. E lo fa seguendo una sua linea antica senza essere talebana, ovvero usando materie prime di qualità, niente polverine (le uova sono uova!) e avendo un bel banco coi pozzetti per la salamoia come quelli di una volta.



Andrea dietro al suo bancone delle meraviglie



Io ho provato, da ultimo, la zabaione Scirocco (lo zabaione arricchito con una torta inserita dentro... perfetto e inspiegabile a parole!), il cioccolato e il caffè (con Andrea che mi dice: "è semplice, se cambio gusto di caffè cambia anche il mio gelato!"; vallo a dire a chi usa le paste già pronte...!). Ma tanti sono i gusti, dalla crema al limone ai frutti tropicali, con passaggi anche nel gelato salato e soprattutto nelle granite siciliane, realizzate veramente come Dio e tradizione comandano (ci sono anche le briosce per gustarle!).
Poi torte e sorbetti alcolici, ghiaccioli e quant'altro, tutto buono e tutto - lo ricorda Andrea con orgoglio - senza grassi idrogenati: e la differenza la senti, perchè il gelato è digeribilissimo e non lascia in bocca quella granulosità che io tanto odio e che sempre più spesso si trova in giro, anche nelle gelaterie di moda...
Io poi mi sono innamorato della mandorla: vere mandorle, vero gelato, ne senti i sapori delle diverse tipologie...
Concludo con egoismo che vorrei avere la Cremeria Scirocco più a portata di mano. Lo spero, e per ora mi titillo con l'attesa della prossima mia degustazione in loco...!